Grafologia teorica e pratica

Le due corazze

Pennini miei. Ogni settimana ascolto le persone e prendo appunti. Quando faccio il mio lavoro di grafologa, la cosa che amo di più è proprio dare uno spazio di ascolto a chi me lo chiede. Certo sono pur sempre una grafologa, ma credo che chiudersi la bocca e aprire le orecchie sia un regalo doveroso chi si rivolge a me.
 
Ci sono stati anni del mio passato ( quando ero ancora adolescente ) in cui ho avuto un estremo bisogno di qualcuno ( anzi più di qualcuno ) che aprisse le orecchie per me, chiudendo la bocca.
Certo poi si prendevano il permesso di dirmi come la pensavano al riguardo di ciò che avevo detto e le reazioni erano essenzialmente due: mi sentivo capita e quindi mi rilassavo, oppure venivo giudicata e allora mi chiudevo a riccio.
 
Cosa succedeva nel secondo caso? Ecco...la mia sensibilità veniva colpita amaramente e...alzavo una corazza.
 
Nel mio lavoro posso individuare segnali di allarme di diversa natura all’interno delle grafi riferiti a diversi campi di attività ( o passività ) della persona, e devo dire che ho imparato a riconoscere le corazze.
Ci sono armature pungenti, a scaglie, spesse, leggere, ma le distingue essenzialmente in due tipologie di base: quella nata per necessità e quella dovuta alla propria natura.
 
Nel primo caso una persona ricorre ad azioni attive di difesa più o meno costante e cosciente ( anche in base al contesto ) dove essa si adopera per resistere agli attacchi dell’esterno; nel secondo caso la persona è proprio ( di per sé stessa ) insensibile a causa di una alta soglia neuronale. Chi è insensibile per natura tende a non arrabbiarsi, o agitarsi, e proseguendo per la sua via e difficilmente qualcuno riuscirà a smuoverlo dalla sua posizione. Un po’ come l’ippopotamo o il rinoceronte: se gli cadesse addosso un sasso, nemmeno se ne accorgerebbe. 
 
La corazza nata per necessità, in generale, è spessa quanto più è alta la sensibilità che deve proteggere.
Il problema è che più la difesa si inspessisce e più diventerà difficile e tortuosa la possibilità di aprirsi un varco di comunicazione, in quanto la persona tenderà a travisare sempre più facilmente le parole del suo interlocutore per lo stesso principio per cui si avrà il terrore di scottarsi con dell’acqua anche se effettivamente si sarà in presenza di acqua fredda.
 
Purtroppo come grafologa io posso solo indicare ( con le dovute maniere ) il campo di difficoltà e disagi della persona, ma poi se la persona dovesse prendere profondamente coscienza di voler migliorare la propria qualità di vita psichica, dovrà necessariamente rivolgersi ad uno specialista.
 
La marcia in più che può fare il grafologo è senza dubbio consegnare il profilo di personalità all’assistito che potrà tranquillamente fornirlo al proprio terapista di fiducia per velocizzare e ottimizzare l’individuazione dei punti critici da studiare.
 
Il cervello è una struttura che per sua natura cerca di non morire, se invece vogliamo vivere, dobbiamo essere noi con la nostra forza di volontà a cercare di rendere questa esperienza sulla terra come un desiderio di vitta e non come desiderio di evitare la morte.
 
Il terapista nell’ascoltare il paziente, individua le dinamiche psicologiche che si manifestano di appuntamento in appuntamento. Esse si presentano sotto diverse forme di esperienza verbalizzata e, di conseguenza, il terapista è in grado di agire con un vocabolario attento e chiaro, mettendo luce su comportamenti ambigui che, da solo il paziente non potrebbe riconoscere.
La seconda attività che il terapista fa è la ripetizione.
Il paziente ha passato una vita a compiere quegli errori di ragionamento, al punto da risultare impossibili da gestire se non con le direttive chiare del terapista, per questo deve frequentare lo studio dello psicologo per molto tempo: è letteralmente una palestra per la mente.
 
Il grafologo è letteralmente un fotografo della personalità e la descrive. Niente altro. L’incontro è di una sola volta ogni 4 o 5 anni...oppure una volta all’anno per il monitoraggio ( servizio che fra l’altro offro ).
 
Se avete una corazza, può essere che non ve ne accorgiate in modo diretto, poiché per quanto sia sotto i vostri occhi, non potete individuarla. È come aver sempre avuto quel neo sulla mano sinistra: lo ritenete talmente ovvio che nemmeno lo vedete, e nel momento in cui il terapista lo mette in luce descrivendolo come un pericoloso segnale di un possibile melanoma, improvvisamente quella macchietta non è più tanto innocua.
 
E voi? Siete corazzati per necessità o per natura?

Grazie a Content Pixie per l'immagine

Sempre vostra, Iro Järvinen
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