Grafologia teorica e pratica

I frutti ambigui - il massimo

Il meglio e il massimo… Pennini miei, sono due parole che dicono la stessa cosa?
Fino a non molto tempo fa lo credevo.
Come l’ho capito è stato con una situazione quotidiana abbastanza banale.
Io e il mio fidanzato stavamo preparando un dolce, esattamente una torta alle mele.
Il tempo scarseggiava e così, una volta pronto il tutto, lo guardai e dissi: mettilo a 200° così fa più veloce.
Lui mi guardò e disse: “ ma così si brucia ” .
Io negai e cercai di spiegare che sarebbe bastato darci un occhio e tutto sarebbe andato bene.
“ Solo perché lo metti al massimo non significa che otterrai il miglior risultato ”.
 
Vi dirò. All’inizio non ho dato alcun peso a queste parole… poi due giorni fa ho messo insieme i pezzi.
Effettivamente “ il massimo ” è un concetto che esula dalla possibilità che si stia ottenendo il miglior risultato.
Un esempio che secondo me definisce in maniera esaustiva la situazione, lo prenderei dall’università.
Uscire con 110 e lode è certamente un traguardo affatto trascurabile. Ma un voto del genere è necessariamente sinonimo di eccellenza?
Se hai avuto un millino da allungare all’università perché il tuo figliuolo potesse raggiungere quella votazione, ahimè un massimo c’è stato, ma assolutamente scollegato dalle abilità di studio.
Per non parlare poi di chi effettivamente ha il super potere della povertà, ma vanta di una memoria da leoni che, in sostituzione del millino, permette il famigerato voto. I miei più sentiti complimenti ( sono seria, io ho il super potere della povertà e il super potere dell’incapacità di ricordare di fare una telefonata dal parrucchiere ), ma succede che chi ha saputo ripetere a pappagallo alla fine della fiera non sa mettere insieme due concetti affini, ma complessi perché troppo poco intuitivi.
Adesso non sto giudicando male chi ha buona memoria ( a differenza del millino… quello sì, infatti è un buon modo per sfornare lauree abilitanti in medicina e chirurgia per gente che non distingue un bisturi da un taglia erba ) ma credo che quando si dia il massimo non sempre questo significhi ottenere il meglio; credo sia di vitale importanza che si distingua un buono ( o un cattivo ) voto dalle reali abilità di uno studente.
Io sono convinta che là fuori ci siano dei miseri 64 / 100 che sanno intuire concetti ed elaborare informazioni che vanno ben oltre le capacità di un mnemonico 110 e lode.
 
E ancora. Non si vuole assolutamente additare chi ha memoria da elefante come una persona che non ha reali capacità, ma ritengo vengano valorizzati ben oltre gli studenti che purtroppo buona memoria non ne hanno e magari oltre all’università lavorano per mantenersi appartamento, studi e cibo a fine giornata.
Non è che se vostra figlia finisce l’università triennale in sette anni allora è ‘na disgraziata che non si vuole impegnare. Vostra figlia forse sta dando il suo meglio in più forme diverse, che non necessariamente si esprimono in un’unica abilità espressa al 130 %, ma in più sfere di intelligenza che hanno bisogno più che mai di esprimersi prendendosi una con l’altra uno spazio nel tempo di vita di questa ragazza.
Uscire con gli amici a bere lo spritz la sera prima dell’esame non la renderà più incapace di superarlo, anzi, lei sa perfettamente che forse non è preparata al 100 %, ma sa anche che prendere 20 \ 30 significa che l’esame lo ha portato a casa anche se non corrisponde al massimo.
È umano o no che quell’esame le stia sulle palle e che non è il caso di spendere 3 appelli sopra quell’orale che, tanto lei lo sa, il suo massimo raggiungibile è 22 ?
Certe volte abbassare la pressione e cercare di concedersi delle debolezze non fa di noi degli incapaci, anzi! Fa di noi delle persone umane che, per quanto non possano sfondare in quanto le sue abilità sortite da natura non permettono ciò, accettano e proseguono permettendosi di non essere i migliori, ma addirittura normali.
 
Non c’è nulla di male a non spendersi troppo nelle cose.
Una volta qualcuno mi ha detto che se devi attraversare il fiume e hai con te poche risorse per farlo, non serve pretendere lo yacht e passare tre anni su quella sponda perché vuoi partire in grande stile, ti basta poco più di una zattera, perché devi attraversare il fiume e non fare un regata.
Perciò dare il meglio alle volte non significa dare quello che gli altri riterrebbero il massimo, perché sarebbe uno sfiancarsi inutilmente per approvvigionare le aspettative altrui… ah! Qual bestemmia!
 
Le aspettative altrui… mamma che coccolone che mi viene.
 
Esatto. Vi ho fatto un pippone enorme sul concetto di massimo e meglio, perché il problema alle volte non è tanto massimo minimo o mezzo… ma è quello che le persone si aspettano da noi, e che noi, pur di avere le loro attenzioni ( per tremila motivi diversi che non sto qui a descrivere ), cerchiamo in un modo o nell’altro di soddisfarli al punto da svenarci per dar loro un massimo che non ci appartiene.
 
Dobbiamo sempre distinguere: il massimo che posso fare, è quello che intimamente ritengo faccia parte di me o è per caso un’aspettativa che non mi appartiene e che anzi mi viene cucita addosso alla stregua di un abito costoso troppo stretto?
 
Non c’è nulla di male nel limitarci a voler fare il nostro meglio a prescindere dalle aspettative troppo alte di chi ci impone ideali di personalità che profondamente noi non vogliamo.
 
E voi?
Fate sempre il vostro meglio? È il vostro massimo o cercate di sollevare sempre l’asticella per andare oltre a limiti ( Il campo di azione e i limiti ) che ritenete di avere?
 
A questo proposito ( se non lo avete ancora letto ) perdonatevi se non ci riuscite .
 
Per chiunque volesse consigliarmi un argomento su cui fare il mio prossimo articolo, mi scriva ad: info@lagrafologia.eu 
 
Grazie a Anna Tarazevich per l'immagine.
 
Sempre vostra, Iro Järvinen
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