Grafologia teorica e pratica

La sofferenza, da un punto di vista, e non il suo perché

Il mio piacere nel rendere pubblico ciò su cui rifletto è qualcosa a cui non posso rinunciare. Per i miei Pennini oggi ho deciso di dedicarmi a qualcosa di veramente incasinato ( insomma nulla di nuovo sul fronte di Capo d’Istria ): e più esattamente di parlare della sofferenza. Parlerò prossimamente anche del dolore, come una mia Pennina mi ha consigliato, ma per questa volta la rosa di argomenti verterà proprio su questo mistero dell’esistenza umana.
 
Sapete, io generalmente mi ritrovo a costruire i miei castelli per cercare di mettere un po’ più di ordine sulle mille sensazioni molto variegate e sfumate che provo ogni momento. 
Recentemente ho avuto modo di affrontare momenti interessanti quanto intensi e vorrei parlarne con voi, proprio perché la sofferenza ne ha fatto parte.
 
La sofferenza mi ha sempre accompagnata ( puntualizzo che non credo che sia una mia peculiarità ma che ogni persona sia accompagnata da dolori e sofferenze ). Fin da piccola ho sempre desiderato diventare adulta, per avere le forze di affrontare e placare il dolore e la sofferenza che provavo. Arrivata a 20 anni ho dovuto fare i conti con il mio patatrak, e a quel punto ho capito che non ne avrei potuto andare fuori se non mi fossi fatta aiutare. Certo sarebbe stato meglio farlo prima, ma non ero a conoscenza delle potenzialità della psicologia e di come avrebbe potuto aiutarmi in quelle condizioni. Il mio problema era essenzialmente caratterizzato dalla mancanza di informazione. Ho parlato moltissimo dell’importanza di questo aspetto nella vita dell’uomo, e consiglio di spendere un attimo del vostro tempo a leggervi i miei articoli dedicati :) ( Stare bene - prima parte: https://www.lagrafologia.eu/site/dettaglio.php?id_noticia=24 e Stare bene – seconda parte: https://www.lagrafologia.eu/site/dettaglio.php?id_noticia=25 ).
Se avessi saputo delle possibilità che avevo, di certo avrei preferito di gran lunga affrontare i miei problemi con qualche anno di anticipo rispetto al periodo in cui ero ventenne. Ma le cose vanno come devono e quindi ci si rimbocca le maniche e si prosegue con quello che si ha fra le mani, né più né meno, è per questo che mi sto adoperando per divulgare il più possibile informazioni e opinioni. Non ritengo di avere la verità in mano, ma penso che aprire la mia esperienza alle persone sia il modo migliore per dare spunti di riflessione e stimolare i miei lettori a conoscere meglio sé stessi.
 
Ma perché abbiamo queste difficoltà nell’informarci? Non siamo nell’era della comunicazione?
Vi dirò: siamo solo all’inizio dell’era della comunicazione e ci vorranno ancora molti decenni prima che questa situazione passi da potenziale ad effettiva.
La psicologia esiste da un secolo eppure non tutti ( anzi! ) sanno cosa significhi davvero esporsi intimamente. C’è stato chi mi ha detto chiaramente: “io quando vado dallo psicologo gli racconto di tutto meno di ciò di cui mi vergogno, lui non deve saperle certe cose”; ecco io ritengo che dietro questo ragionamento ci sia un grosso malinteso. Ma perché abbiamo paura dello psicologo? Lui / lei per lavoro non giudica. Ma allora perché ci sentiamo giudicati? Beh per la legge del contrappasso dovuta alla proiezione: vedere nell’altro una nostra caratteristica preponderante, quindi se io per primo giudico una persona inconsciamente mi sentirò giudicata / o da lei / lui, ciò accade specialmente da chi non conosciamo e riteniamo una minaccia.
 
Ma perché percepiamo questa ostilità nei confronti di cose che non conosciamo? Perché abbiamo così paura di esporci? Anche solo con cose normali? È tutta una questione di aspettative ed esperienze passate.
 
La nostra mente è collegata a 5 sensi, strumenti attraverso i quali noi assorbiamo informazioni di diversa natura questo passaggio si chiama “sensazione”. Ma poi queste informazioni vengono immediatamente archiviate ed elaborate attraverso il processo, perfettamente integrato con il passaggio precedente, chiamato percezione.
 
Su questo discorso, devo ammetterlo, ci sono tantissime teorie diverse che cercano di descriverlo nel modo più aderente possibile alla realtà. Purtroppo in psicologia è difficile riuscire a determinare delle leggi come nelle scienze esatte, dato che la quantità di variabili in gioco sono davvero tantissime e non è possibile isolare / standardizzare i fenomeni senza creare comunque un grande margine di errore.
 
Ma passiamo all’argomento del giorno: le due teorie che più mi aiutano in questo caso sono quelle del tedesco Hermann von Helmholtz detta teoria empiristica, e quella del movimento del New Look (fondato dagli americani J.S. Bruner, L. Postman ed E. Mc Ginnies).
La prima definisce come la percezione sia basata sulla nostra esperienza passata: gli stimoli frammentati che riceviamo tramite la sensazione, vengono rielaborati e organizzati sulla base delle nostre conoscenze per creare interazione con il mondo esterno tramite il nostro pattern comportamentale tipico, in altre parole, se è notte e cercate le chiavi sotto il lampione perché là è illuminato, ma sapete che le avete perse al buio dieci metri più indietro… purtroppo non le troverete, allo stesso modo se cercate una spiegazione ( le chiavi ) che va al di fuori delle vostre competenze ( il buio ), tenderete ad affidarvi per abitudine alle vostre conoscenze ( la luce ), ma questo non significherà necessariamente trovare ciò che cercate. 
La seconda rimarca come la senso-percezione sia il risultato fra gli stimoli esterni e la rosa di valori, interessi e attese dell’individuo, in parole povere se ci aspettiamo picche tenderemo a vedere e dare attenzione solo alle picche, anche se magari nel contempo abbiamo ricevuto dieci cuori.
 
In entrambi i casi cerchiamo quello che conosciamo.
 
Ma allora: cosa centra con la sofferenza? Tranquilli ci arriviamo.
 
La percezione che abbiamo della realtà è certamente condizionata da ciò che abbiamo vissuto… ma la realtà è che noi riceviamo migliaia e migliaia ( per non dire miliardi ) di stimoli e una buona parte di loro viene bellamente gettata nella spazzatura perché selettivamente scegliamo sempre la parte che ci interessa di più, ma che soprattutto per abitudine continuiamo a cercare per due motivi: o ci fa soffrire poco o ci fa godere molto.
 
La selettività dell’essere umano è dovuta al fatto che i limiti fanno parte della realtà in mille modi diversi e l’unico modo per affrontarli è sfruttarli a nostro favore: abbiamo interessi limitati, risorse limitare, tempo limitato, energie limitate...e vi così, ma se ci sono è inutile desiderare di non averne. L’unico modo per andarne fuori è farne una ricchezza.
 
Quando soffriamo è anche perché ci concentriamo su alcuni aspetti della vita e non su altri. Nella vita ci sono sia cose belle che brutte, sta a noi scegliere cosa guardare. 
Attenzione non basta dire: “scelgo questa emozione piuttosto che un altra”, va fatto un lavoro con una motivazione di fondo estremamente interiorizzata. Nessuno vi richiede di essere felici o comunque scegliere la gioia davanti ad un evento catastrofico quale un lutto. Però il fatto di rimanere ancorati ad eventi passati nel lungo termine, porta a valutare la cosa come un problema.
 
Ma cosa voglio dire con tutto questo? Che c’è un contesto, come un calcolo di plus e minus che ci fa valutare in modo personalizzato la realtà che ci circonda, e se è presente un minus, c’è anche una maggiore valorizzazione del plus.
 
Mi spiego peggio.
Se c’è un contesto di riferimento, le cose hanno un valore più o meno positivo rispetto al mero risultato finale.
Se voi ricevete 500 euro dalla nonna che ha voglia di essere generosa con la sua nipotina, avranno un valore diverso rispetto i 500 euro guadagnati lavorando ad un progetto in cui avete messo amore e passione, in aggiunta con la contentezza del cliente che vi ha apprezzate.
 
Al contrario. Se mangiate un panino comprato al negozio all’angolo per cui avete speso 5 euro e sapete non essere il migliore della zona, non vi scandalizzate se non è poi tanto buono, se ci pensate l’evento descritto vi darà molto meno fastidio rispetto al panino ( che scoprirete immangiabile ) comprato per gli stessi 5 euro dal paninaro rinomato che sapete essere molto buono in quanto diversi amici ve ne hanno parlato bene.
In entrambi i casi c’è stata una aspettativa che ha valorizzato ( i 500 euro guadagnati da un cliente soddisfatto ) o peggiorato la situazione ( il panino che si sperava insuperabile ).
questo significa che non è un mero aggiungi o togli di punteggi dati solo da un evento a sé stante, ma anzi! C’è una serie di condizioni molto complesse che danno valore aggiunto alle situazioni, e se non c’è un trascorso che ne valorizzi o ne infici le qualità, questo cambia la percezione di piacere o dispiacere.
 
Adesso vi racconto una cosa. Nel mio storico sono sempre andata a comprare il cellulare presso un negozio poco distante da dove abito, e in 8 anni di acquisti non ho mai avuto niente da dire al riguardo, nel senso che mi hanno sempre garantito buoni prodotti e qualità proporzionate al prezzo del prodotto acquistato. L’anno scorso per problemi puramente logistici, ho acquistato un telefono nuovo presso un altro rivenditore, e dopo pochissimi giorni di utilizzo mi sono resa conto che il prodotto era di qualità scadente e che non poteva garantire una esperienza confortevole di utilizzo. Immediatamente ho esposto il problema in negozio ( ero anche piuttosto arrabbiata ) e loro sono stati disponibili ad effettuare un reso oltre che a darmi un cellulare migliore aggiungendo la differenza di prezzo senza chiedermi nulla in più del dovuto.
 
Ora, poiché la seconda azienda è stata disponibile a prendersi cura di me nel momento di un disservizio, ha lasciato in me un segnale non poco positivo. Infatti ora so che se acquisterò ancora presso quel negozio e dovessi avere un qualsiasi problema, non esiteranno a seguirmi in modo adeguato; perciò sarò più propensa a dare più valore alla mia esperienza nuova piuttosto di ritornare in quel negozio dove ho acquistato in precedenza. Questo perché? Perché il negozio precedente non mi ha mai dimostrato di essere in grado di prendersi cura di me in caso di malaugurato disservizio. Ovviamente è encomiabile che non ci siano mai stati errori con loro, ma non ha lasciato in me una esperienza così positiva come la dimostrazione di una presa di posizione nei miei confronti in caso di necessità.
 
Significa che l’altro negozio non vale nulla? No, affatto, ma ormai mi ritengo fidelizzata con il nuovo negozio.
 
Perciò nella nostra mente la singola unità esperienziale vale molto di meno di una unità generata da una esperienza dove è presente un aspetto negativo che va a sottrarsi ad una situazione più ampia e complessa.
 
Una esperienza solo positiva ( acquistare prodotti senza avere mai problemi ) : 1-0= 0,8
vale meno di una esperienza che nel complesso risulta positiva ( acquistare un prodotto e venire seguiti in modo soddisfacente in caso di disservizio ) : 5-4=1
 
lo 0,2 di differenza è dovuto alla percezione avvalorata dal contesto e dall’aspettativa.
 
Perciò in questa situazione, la “sofferenza ( diciamo ) risolta” avvalora e sostiene una esperienza che nel lungo termine risulta più piacevole e più desiderabile in futuro.
 
Ovviamente non vanno sempre in plus le nostre esperienze. Ci sono sempre delle situazioni dove il minus risulta davvero molto invalidante e porta il complesso della situazione a svalorizzarsi, e anzi a farci evitare di ripete una esperienza. Ma se ci pensate anche in questa situazione c’è del positivo: è stata sperimentata una attività e abbiamo appreso che essa non è di nostro gradimento. Questo serve per non commettere gli stessi errori e apprendere allo scopo di evolverci.
 
Purtroppo alle volte evitare e basta determinate condizioni, non è sempre una soluzione. Come ho sempre detto tutto è estremamente relativo ed è importante anche sfruttare le difficoltà a nostro favore, continuando a viverle cercando di vederle come quel valore aggiunto che aumenta di 0,2 la nostra unità di piacere complessivo.
 
Una volta qualcuno mi ha detto che evitare il dolore te ne porta dell’altro solo in una forma diversa.
Ho potuto constatare che ciò era vero in quanto molti anni fa, quando ero adolescente, cercavo di fare il minimo sindacale e di non impegnarmi mai troppo. Ciò mi ha portato non solo ad una profonda consapevolezza che non ero affidabile, né per me né per chiunque altro intorno a me, ma soprattutto a molta ansia da prestazioni. L’unico modo che mi ha permesso di fare dei passi in avanti è stato rimboccarmi le maniche e impormi degli impegni. L’ansia a poco a poco è divenuta fiducia in me stessa, perché faticando in modo attivo nel tempo, ho dimostrato che, al bisogno, sarei stata in grado di affrontare le cose, sia nel breve che nel lungo termine. Effettuare degli achievements dapprima di piccole dimensioni, per poi proseguire con obiettivi sempre più ampi ( che avviso di spezzettare sempre in microbiettivi nel lungo termine ) mi ha permesso di vedere la sofferenza come un mezzo e non una conseguenza funesta. 
 
Ovvio. Ci sono sofferenze che nessuno meriterebbe di attraversare in quanto assolutamente disumane, ma c’è un perché delle cose e alle volte sfruttarle a nostro favore può solo che farci da gradino per proseguire nella nostra crescita. 
 
Con questo articolo non voglio assolutamente dare un perché all’esistenza della sofferenza. Non ho risposte al riguardo. Ma posso sempre diffondere ciò che penso io.
 
La mente umana è una meravigliosa macchina che se ben oliata porta a splendidi risultati che noi e soltanto noi possiamo costruirci un passo alla volta.
 
In conclusione. La sofferenza in senso passivo può essere molto dolorosa, ma ci permette di non prenderci alcuna responsabilità, criticare e fare una vita mediocre, lasciandoci trasportare dagli eventi che potremmo controllare, ma che non ci impegnamo a valorizzare.
Al suo opposto, la sofferenza in sento attivo ci permette di fare delle scelte e di evolvere migliorando giorno dopo giorno, permettendoci di essere persone migliori e di ottenere gratificazioni che nessuno potrà mai farci avere al posto nostro.
In ogni caso soffriamo. Sta a noi decidere se usarla o esserne succube.
 
Let’s repet with a little summary:
 
    1. Dalla mia personale esperienza;
    2. Lo stigma dello psicologo: la psicologia esiste da tempo, ma ancora la temiamo;
    3. Sensazione e percezione;
    4. La teoria empiristica – l’esperienza passata;
    5. La teoria del New Look – l’aspettativa;
    6. I limiti dell’essere umano;
    7. Il contesto permette una valorizzazione dei nostri limiti attraverso la percezione;
    8. Il Plus e il Minus;
    9. Evitare il dolore te ne porta dell’altro solo in una forma diversa;
    10. Non so il perché della sofferenza;
    11. In conclusione.
 
Pennini miei. Siamo di nuovo giunti alla fine della nostra settimana e, nonostante tutti i casini mi siano successi, sono riuscita a pubblicare questo articolo. Mi raccomando: tenete alte le antenne perché ci sono bellezze per voi che nemmeno immaginate. Basta allungarle ( con fatica ).
 
Sempre vostra, Iro Järvinen

Grazie a Steven Arenas per l'immagine.
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