Grafologia teorica e pratica

La sofferenza inespressa del passato - Parte 2

Parte 2.1 – Il rispetto
 
Un pennino felice è un pennino che si prende cura di sé e poi degli altri.
Ma un individuo non è disgiunto né dalla società attuale ( quella di tutti i giorni con i propri coetanei per capirci ) e tanto meno dalla società più “ vecchia ” ( rappresentata da tutti coloro che ragionano ancora stile vecchia scuola ).
 
Questo articolo è un sequel di un discorso precedente introduttivo che potrete ritrovare a questo collegamento La sofferenza inespressa del passato - Parte 1, perciò se non lo avete già letto potete tranquillamente proseguire con questo articolo e poi godervi il prequel.
 
Abbiamo visto come i “ nostri vecchi ” avessero dovuto affrontare situazioni completamente diverse dalle attuali nel corso della loro giovinezza, di conseguenza la loro personalità risulta strutturata all’interno di un costrutto che tende a risolvere problematiche attuali con metodologie vecchie. C’è da biasimarlo? No. Assolutamente no.
Loro hanno dato il contributo che potevano dare e per quanto si voglia pretendere che capiscano l’attualità, non glielo si può chiedere con pretesa, in quanto cambiare costa energie mentali terribilmente alte e loro le energie le stanno ancora spendendo a combattere la continua svalutazione che hanno subito dai loro stessi genitori. Loro stanno combattendo contro un problema che non riconoscono come tale e lo risolvono con l’appiattimento della realtà e proseguendo con uno stile di vita stressante quanto doloroso. Per loro era normale spaccarsi di lavoro e dire di sì ai genitori, e giustamente ( per quanto a livello profondo sentano che c’è qualcosa che li disturba e non poco ) vorrebbero proseguire nella loro vita come “ è sempre stato ” ( o per meglio dire, come hanno sempre conosciuto che dovesse essere ).
 
Noi giovani per certi versi stiamo combattendo con i loro stessi demoni interiori, ma a differenza loro dentro di noi quei demoni sono saliti a galla e ci stanno facendo ammalare psicologicamente.
Avremo anche le comodità, ma sono paragonabili alla continua fornitura di vettovagliamenti dai generali che stanno nelle retrovie e ci dicono che stiamo combattendo contro qualcosa che non esiste.
 
Purtroppo quel dolore esiste, ma a differenza dei nostri “ vecchi ” noi lo sentiamo e pensiamo una cosa che loro ( non è una colpa ) non pensano: e cioè che tutto questo dolore e sofferenza non vanno accantonati come dicono loro ( cioè dicendo che non c’è nulla :( ed è tutto a posto ), ma vanno considerati e poi gestiti.
Ecco che la nostra società sta affrontando ( oltre al problema del lavoro e di tutta una sedie di eventi sociali che non sto qui ad elencare in quanto non è il mio campo ) l’importanza delle sane abitudini mentali.
Le generazioni, dalla Millennium in poi, riscontrano tantissime disfunzioni di tipo emotivo, psicologico e psicosomatico ( per non dirne altre ), e ingiustamente ( anche se... non possiamo farne una colpa ) i nostri vecchi continuano a guardare tutto questo e dire: non c’è nessun problema.
Oggi vorrei parlare di uno degli alberi ( vedi immagine ) che sono nati dalle radici di lunghissima data della nostra società: il rispetto.
Si tratta di uno straziante problema che ci ha sconvolti al punto da destabilizzarci e condurci ( chi in un modo e chi in un altro ) a soluzioni più disfunzionali che altro perché non abbiamo riferimenti adulti che possano guidarci.
E quindi ci troviamo in trincea senza ufficiali competenti al comando con i vettovagliamenti e pochissime armi a nostra disposizione con i generali che urlano: “ proseguite non c’è alcun nemico! ” e giù morti e feriti.
Una delle frasi finali del precedente articolo dice:
“ Tutto quello che c’è alla base è proprio la mancanza di rispetto e la mancanza di fiducia che si potrà mai essere rispettati veramente, per non parlare del fatto che non si conosce ( coscientemente ) che cosa significhi essere realmente rispettati. ”
 
Siete pronti? Andiamo più in là.
Cos’è il rispetto?
Sottolineiamo prima di tutto che il rispetto è un atteggiamento complesso e può essere attivato solo sulla base di una serie di sane abitudini mentali e lo vorrei riassumere essenzialmente come la capacità di fermarsi davanti al limite e non pretendere di andare oltre in quanto si riconosce che non ce n’è bisogno e che si può risolvere il problema attraverso altre vie.
Già è difficile riconoscere e rispettare un limite fisico, come ad esempio una transenna con cartello di divieto, figurarsi un limite di velocità, rappresentato da un semplice cartello, o ( ancora più difficile ) il limite interiore di una persona.
 
Prima di rispettare un limite ( Articolo -  Il campo di azione e i limiti  ), è fondamentale vederlo.
Ancora prima di vederlo, bisogna farsi un dubbio e per farselo è necessario considerare se veramente la nostra certezza è fondata o meno, e la certezza è basata sulla fiducia ( mi viene da aggiungere che si riferisce alla convinzione di essere nel giusto e quindi al sicuro ). Concentriamoci sulla fiducia, che è fra i primi mattoncini di tutta questa lunga catena di causa effetto.
 
2.1.1 - La fiducia
 
In genere la fiducia si basa sul protrarsi di una convalida positiva costante di due eventi: azione e conseguenza, in questo caso ci si fida che le idee su cui ci basiamo siano giuste e portatrici di sicurezze inattaccabili.
Se associamo ad una azione una conseguenza che vediamo solo nella nostra testa ( vado in chiesa e quindi è meno probabile che io vada all’inferno ), non ci renderemo mai conto che lo facciamo per motivazioni che non hanno né capo né coda, ma che ci fanno sentire al sicuro perché quella è l’abitudine che abbiamo sempre perseguito. Il fatto di sentirsi al sicuro è perché è un’abitudine, non importa che questa abitudine ci porti a conseguenze nefaste, la manteniamo perché ci mette tranquilli.
Mi metto in prima persona: io sinceramente mi sentivo bene ad andare a messa tutte le domeniche e lo ritenevo un onore l’essere in grado di capire questa grande illuminazione che mi rendeva più umana degli atei o dei fedeli di altre religioni. Poi pian piano ho fatto un percorso e mi sono resa conto che spendevo il mio tempo là dentro quando potevo veramente parlare con qualcuno che mi rispondesse ( scusa dio, ma non ho mai sentito una sola parola da te… la voce che sentivo era di clericali che mi insegnavano a temere l’inferno ) e che sapesse darmi argomentazioni valide su cui riflettere nell’arco di una giornata.
 
Quando la fiducia viene scambiata con la fede, accadono cose terribili e disastrose, si usa la fede nell’idea che andrà tutto bene qualsiasi cosa accada prendendo così decisioni di pancia senza un minimo di valutazione razionale e si ha la fiducia accontentandoci di convalidare solo le parole di persone che promettono e che effettivamente non dimostrano con i fatti. Non ci importano i fatti, rimaniamo ciechi difronte a teatri sfavillanti che alla fine mettono in piedi solo una bella scena, che quando è ora di concretizzare… ahimè svanisce come la brina al sole.
La fiducia infatti si basa sul dato di fatto e la fede sulle parole.
Quando la persona vive in soggettiva, tende a dare fiducia più al verbale che al dato di fatto in quanto non accetta la realtà per quello che è e cerca di manipolarla in modo che risulti di suo gradimento.
 
Ci hanno sempre mostrato che la realtà fa essenzialmente schifo (Articolo - La realtà fa schifo ) di conseguenza non c’è una reale gestione del dato in fatto in quanto classificato dal pregiudizio come orribile e da nascondere, dato che non corrisponde al desiderio delle nostre aspettative basate sul volo pindarico della nostra più profonda fantasia di volere gli arcobaleni in tutto il mondo senza guerre e senza il sesso impunemente libero. A questo punto le persone non sanno più dove sia il cielo e dove sia la terra, hanno una visione distorta di ciò che le circonda e questo le conduce inevitabilmente a guai ed errori madornali che avrebbero potuto tranquillamente evitare se ci fosse stata una educazione completamente diversa, non basata sul pregiudizio ma dalla capacità critica nella valutazione di fatti e opinioni. Ma il mondo che abbiamo a disposizione è questo: assomiglia in tutto e per tutto ad un’enorme stanza imbratta, dai vetri rotti e piena di spazzatura. Purtroppo però non abbiamo altre stanze né alcuna via di uscita, perciò le scelte sono due: o attacchiamo una costosissima carta da parati d’autore che ci faccia credere di stare in un giardino ( contro cui sbatteremo continuamente il naso con l’idea di poterci entrare se dovessimo impegnarci abbastanza ) oppure ci si tira su le maniche, si puntano gli occhi su tutto quel casino e si comincia un po’ alla volta prima a svuotare, poi a pulire ed in fine ad arredare.
Ovviamente non tutti sono d’accordo sull’idea di abbandonare la carta da parati: non è stato né difficile attaccarla né richiede impegno per tenerla in ordine.
La realtà ci fa schifo perché richiede impegno energie e voglia di attivarsi costantemente.
La mente non è fatta per cercare la felicità, il cervello infatti è progettato per evitare il dolore.
Magari ci sono volte che possiamo anche lasciarci andare, ma se questo significa farne una costante, ritengo che sia una scelta di cui parlarne.
 
Non siamo tutti uguali e non dobbiamo tutti lavorare nella stessa area della stanza, la stanza è grande e c’è posto per tutti. Ben venga che ci siano persone che si occupano chi di una zona chi di un’altra, ma mi sembra importante sottolineare come il lavoro e l’impegno in un campo non debba venire sminuito da chi non è addetto ai lavori. Per questo il rispetto è fondamentale.
Quindi il primo passo per avere rispetto per gli altri è prima di tutto riconoscere i nostri limiti e le nostre competenze. I primi sono più o meno costanti nel tempo, oscillano di poco e non possono essere più di tanto elastici, i secondi però possono essere implementati attraverso lo studio e la formazione sul campo.
Riconoscere i propri limiti richiede tempo e pazienza da parte propria e degli altri. È come essere ciechi e vagare nel nostro recinto senza pensare che potremmo trovare degli ostacoli, l’unico modo che abbiamo per impararli è muoverci. Possiamo correre, camminare, andare a gattoni, in un modo o nell’altro li incontreremo e possiamo toccarli dolcemente oppure sbattercisi contro una, due, tre,… mille volte! Se nella nostra testa siamo convinti che quella recinzione non ci appartiene e che il nostro mondo è là fuori, non solo scavalcheremo il recinto ma andremo a mettere e mani negli spazi altrui tutte le volte che vorremo, con l’idea che non solo se la prendono con noi per qualcosa che è nostro, ma che addirittura sono gli altri ad invadere il nostro spazio.
Ahi, ahi, ahi… quanti litigi fatti senza rendersi conto che eravamo noi in torto. Il bello è che noi lo facciamo addirittura in buona fede! Perché ci hanno insegnato che quello è il modo di agire. L’unico modo che abbiamo per fermare tutto questo è chiedersi: perché tanta sofferenza? C’è qualcosa che forse non funziona nel modo giusto?
Farsi una simile domanda è il risultato di una presa di coscienza che ha lavorato dentro di noi in background per molto tempo, ma che ha una forma diversa a seconda di chi sia la persona che la raggiunge, però tutte loro hanno fatto un passo importante e cioè hanno pensato che forse non avevano ragione di fare quello che hanno sempre fatto.
Avete idea del dolore che scateni il mettere in campo il proprio orgoglio e cominciare a capire che forse si sta compiendo un errore?
Ah! L’errore! Qual bestemmia! Ecco un concetto reale che ad oggi è uno fra i più famigerati oggetti di pregiudizio. L’essere umano deve essere perfetto e non presentare difetti. Ci hanno insegnato che l’errore è una cosa terribile, che va eliminata e nascosta in quanto sinonimo di vergogna.
Ecco perché facciamo errori e poi li nascondiamo al mondo perpetrando scelte erronee, perché non ci è dato il permesso di essere persone che per imparare devono sbagliare.
L’errore è un passaggio su cui si fonda l’evoluzione.
Invece le religioni lo chiamano peccato, e giù sensi di colpa.
Le religioni ci insegnano che se vuoi essere felice non devi provare piacere, quando nella cruda realtà è il piacere che manda avanti l’essenza stessa della vita. Il sesso è piacevole proprio perché bisogna dare una motivazione biologica positiva alle creature che si devono riprodurre, altrimenti se ne sbatterebbero i cosiddetti di mandare avanti la specie.
Quindi, non possiamo avere rispetto delle persone se ci vergogniamo di sbagliare, al punto che piuttosto che ammettere l’errore e imparare da chi per lavoro può insegnarci come vivere meglio con noi stessi, preferiamo nascondere tutto sotto il tappeto e continuare a fare di testa nostra ripetendo pedissequamente errori su errori, manchiamo completamente di fiducia che potremmo venire accolti nel nostro errore e nelle nostre mancanze.
La realtà invece è diversa. Essa comprende una varietà infinita di possibilità che non possono venire descritte da una stupida serie di regole uguali per tutti.
 
La fede nell’idea che il mondo è brutto e invece la fantasia del divino è bellissima, ci distrugge da dentro impedendoci di vivere nel mondo fatto così com’è: pieno di tante cose complesse.
Appiattire tutto con un “ il mondo dovrebbe essere così e invece… ” ci porta a tanto dolore al punto che preferiamo rifugiarci nella fantasia piuttosto di affrontare la realtà.
 
Il primo passo per raggiungere il rispetto è quindi ( indubbiamente ) l’uso del dubbio, mettere in dubbio che come abbiamo sempre fatto va bene.
Vedete chiederci se veramente il mondo dovrebbe essere solo buono o se invece potrebbe essere diverso da come lo conosciamo ( o pensiamo di conoscerlo ) è un passo lungo difficoltoso e tanto doloroso. Mina il nostro orgoglio e semina paura perché pian piano ci rendiamo conto che poi tanto al sicuro non siamo.
Esatto: il mondo è tante cose ma certamente non sicuro.
Ma c’è una buona notizia: dentro di noi è possibile trovare sicurezze, basate sulla convalida di dati di fatto che dimostrano la soglia dei nostri limiti.
Il limite fa paura perché è come se ci impedisse di fare ciò che riteniamo di avere bisogno. Ma abbiamo veramente bisogno di prendere quella cosa là? Quella cosa presente all’interno dei limiti di un’altra persona?
La bellezza di un’attrice, i soldi di un banchiere, o la fama di un artista affermato?
Ho detto tre cose, ma ogni persona ha i propri bisogni… e le opzioni potrebbero essere davvero tantissime, pressoché infinite!
 
Oggi abbiamo grattato la dura superficie appena appena accennata di questo lungo viaggio sulle sofferenze inespresse del passato.
Prossimamente prometto di proseguire con la parte successiva.
 
Grazie di cuore per avermi dedicato il tuo prezioso tempo.
Lavoro ogni giorno per intrattenerti adeguatamente e con il tuo aiuto però posso fare di meglio.
Dunque lascia un commento o scrivimi in privato se lo preferisci: sarò ben lieta di ascoltarti.
 
Intanto auguro buona serata.
 
Sempre vostra, Iro Järvinen.
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